7 maggio 2015

Racconto "Il più dolce dei momenti" di Elisa Vangelisti

parole incantate davanti a una tazza sul blog letterario de le tazzine di yoko - rubrica racconti
Buona sera cuplover ^_^
eccoci a presentarvi un nuovo racconto per la nostra rubrica “parole incantate davanti a una tazza”.

Oggi ospitiamo “Il più dolce dei momenti” di Elisa Vangelisti, un racconto che mi ha catturato. Intenso, arriva… ho tifato per Andrea dall’inizio alla fine!
nel piattino abbiamo:  love story 01 - compulsivamente lettrice - 6 ciambella romance sul blog letterario de le tazzine di yoko / contemporaneo 01 - compulsivamente lettrice - 8 torta contemporanei sul blog letterario de le tazzine di yoko
Il più dolce dei momenti
di ELISA VANGELISTI
...dedicato ad Andrea


Selvaggia ragazza senza cuore… ero in uno stato di eccitazione tale che avrei potuto picchiare qualcuno. Avrei dovuto saperlo che sarebbe successo di nuovo. Non credo volesse provocarmi, lei era così, non lo faceva apposta.
“Dove ti siedi?” Le chiedo sorridendo e gettando lo sguardo un po’ sul posto a tavola al mio fianco e un po’ su quello di fronte a me.
Elisa sgrana gli occhi verdi battendo le ciglia come sorpresa, poi accenna un sorriso leggero e ammiccando sussurra, avvi-cinando il suo viso al mio: “Tu dove mi metteresti?”
La frase è allusiva, lo so io e anche lei lo sa bene. Gioca spesso e la lascio giocare. Soffia la domanda verso le mie labbra aperte e il cuore mi scoppia nel petto. Come se non fossi già abbastanza teso.
“Che razza di domanda, dove vuoi tu, carissima.” Dico, sperando di sembrare sereno. Sulle mie ginocchia potrebbe andare, le avrei invece voluto rispondere.
Elisa è sentimentalmente impegnata, ma in questo periodo tra i due c’è un po’ di tempesta. Questo secondo i resoconti di Anna-maria, amica comune che mi ha fornito particolari utili, interessata a perorare la mia causa. E la mia causa è che sono completamente preso da lei.
La nostra frequentazione, prima casuale, si è fatta sempre più assidua. Un po’ perché Elisa esce la sera, quando il compagno è impegnato negli allenamenti di pallavolo e le gare, un po’ perché, stregato da lei, ho convinto i miei amici di sempre a frequentare Annamaria e la sua congrega. Elisa soprattutto.
La guardo attraverso il bicchiere che solleva davanti al viso, un po’ troppo in alto solo per bere: lo fa quasi come fosse un vezzo. Gesticola con l’altra mano e io vorrei tenerla stretta nella mia perché si calmi un po’. È sempre carica come una molla, a differenza di me, quell’Andrea amico di tutte le ragazze, soprattutto quelle problematiche, l’Andrea composto e rilassato.
Dicono che nonostante la giovane età io sia un signore. Be’, il qui presente signore, in questo momento, se potesse la strap-perebbe dal ristorante e la sdraierebbe dietro un cespuglio. Non mi sono mai sentito così, con una ragazza, ed è una sensazione stupefacente. Non mi sono mai drogato, ma – basandomi sulle esperienze di amici – credo che questa ragazza mi faccia l’effetto di un allucinogeno.
Sono drogato di lei. L’uscita settimanale è diventata un appuntamento irrinunciabile, pensare di farne a meno mi rende nervoso. La guardo prendendo la mia dose, sentendomela scorrere in tutto il corpo come l’adrenalina, come l’alcool di un brandy invecchiato che mi riscalda e mi fa girare la testa, ma mi fa stare bene.
I capelli scuri e lucidi le scendono lisci sulle spalle e ogni tanto le scivolano fra i seni. Mentre porta il cibo alla bocca li sposta all’indietro. La scollatura è generosa quanto basta senza essere eccessiva. Sto pensando alla sensazione che proverei se vi appoggiassi il viso. Calore, sicuramente. E morbidezza. Poi non so se mi limiterei.
Fra i capelli ha un fiore di pizzo che, quando si volta chiacchierando con i commensali, le dondola leggero come se invece che fra quattro mura fossimo in un prato carezzato dal vento. Accidenti ai prati e ai cespugli, non riesco a smettere di pensarci; è colpa del mio corpo che mi dà chiari segnali, non ne posso proprio fare a meno, non so se mi spiego.
“Che ne dici, Fonta?” Mi chiede lei, usando – come tutti – il soprannome che deriva dal mio cognome: Fontanesi. Nessuno mi chiama Andrea, troppo comune, non mi si distingue. Il Fonta, con l’articolo. Questo sono io. Anche se al momento non so proprio chi dovrei essere.
“Ero distratto, cara, di che stavate parlando?” Che figura. Ho chiesto ad Annamaria se si nota molto che vado in delirio ogni volta che la vedo. Lei, discreta, dice un pochino. Forse sono sulla bocca di tutti, mentre vorrei essere solo sulla sua. Mi piacerebbe moltissimo essere sulla sua.
Elisa sorride e chiude un occhio per un secondo, poi accosta sotto il tavolo la punta della scarpa alla mia e, con un tono di voce che sottintende una conversazione privata, scandisce sei parole: “Ti va di fare due passi?”
La guardo smarrito; sembra un boa constrictor l’attimo prima di attaccare: perché lo fa? Probabilmente sa benissimo di piacermi e la crisi con il suo ragazzo la porta a sperimentare il rapporto con qualcun altro. Quel qualcun altro purtroppo sono io, che mi sto sciogliendo sulla sedia come cera fusa di una candela accanto a un fuoco troppo ardente.
“Sicuro, Elisa. Chiediamo il conto e seguiamo gli altri, prima di andare a ballare. Tanto è ancora presto.” Infilo la mano nella tasca posteriore dei pantaloni per prendere il portafogli. Lei avvicina una mano alla mia, appoggiandola piano.
“Si divide, però; basta offrire, okay?” Così, se n’è accorta. Annamaria le diceva sempre “Qualcuno ha già pagato per te.” Anche senza fare nomi era chiaro che fossi io. Cos’altro le è chiaro?
“Va bene,” le rispondo, mentre scosto la sedia con aria timida “solo per questa volta, però.” Elisa sorride aggiungendo: “Vedremo.”
Vicino alla cassa le appoggio piano una mano sulla schiena per non rovinarle fragorosamente addosso, dato che i miei amici – nel tentativo di creare un interessante diversivo – mi stanno spingendo in avanti con un po’ troppa irruenza. Mi volto un momento per fulminarli con lo sguardo, ma senza ottenere risultati. Così, alla spinta successiva, mi appoggio completamente a lei aderendole con tutto il corpo. Grazie ai suoi tacchi siamo della stessa altezza, quindi il risultato è catastrofico: ciò che avrebbe dovuto passare inosservato ora è a sua completa conoscenza, inoltre il suo profumo m’investe come una scossa elettrica. Peggio di così non poteva andare. Dovrò scusarmi o le avrà fatto piacere?
“Scusa.” Le sussurro a un orecchio.
“Di cosa?” Risponde lei, col portafogli in mano, fissandomi dritto negli occhi.
Cespugli, querce, radure, fieno, coperte stese sull’erba… che io sia dannato se in questo momento riesco a pensare ad altro. La mia proverbiale compostezza è finita chissà dove, ma spero che nessuno se ne renda conto.
Finalmente aria. Respiro a bocca aperta come se durante tutto il tempo fossi stato sott’acqua col fiato sospeso. Mi devo calmare, altrimenti le salto addosso davanti a tutti.
È una strega, questa è la mia teoria, una splendida strega venuta sulla terra e nella mia città con l’intento preciso di dannarmi per sempre. Immaginarla mentre lo fa con un altro mi provoca una leggera nausea. Devo cambiare pensieri o non ce la posso fare.
Lo stato d’animo migliora rapidamente. Mi sento un dio, vorrei sentirmi così per sempre. Forse è questo che intendono i buddisti quando parlano del nirvana.
Mentre ci infiliamo in massa all’interno del parco cercando delle panchine, Elisa si accende una sigaretta. I tacchi sottili s’infilano tra la ghiaia del sentiero e ogni tanto perde leggermente l’equilibrio. In quegli istanti, per ritrovarlo, si appoggia appena al mio braccio e la cosa mi fa molto piacere. Chiacchieriamo del più e del meno e poi ci accomodiamo sulla panchina dall’altro lato del sentiero dove, un po’ seduti e un po’ in piedi, i nostri amici hanno fatto capannello. Qui siamo noi due soli. È piuttosto chiaro, ci lasciano in pace e fanno il tifo per me.
“Buona?” Le chiedo, indicando la sigaretta.
“Mmm.” Risponde lei, mugugnando e aspirando avidamente. “Dopo una cena e un caffè è proprio quel che mi ci vuole, ma tu non fumi e probabilmente non sei d’accordo.” Dice guardandomi di traverso, sorridendo. Giocherella col filtro con il pollice. Così rischia di romperlo.
“Nervosa?” Lei mi guarda e sorride ancora: ma lo fa apposta? Il rossetto, fra il pasto e il fumo, è un po’ sbiadito e sul naso ha un alone leggermente lucido come se fosse sudata, nonostante l’aria fresca. Comunque è bellissima.
“Dovrei?”
“Non lo so, dimmelo tu. Stai per frantumare la sigaretta.”
“Ah.” Sospira, aspirando un’ultima volta e gettando lontano quel che ne rimane. Poi ride. Si sposta i capelli con una mano e giocherella fra la ghiaia con i tacchi delle scarpe. Si stanno impolverando leggermente. “In effetti, non è un buon momento, per me”.
“Adesso?” Le chiedo titubante, sperando che risponda di no. Centro.
“No, assolutamente. Con te sto bene. Il problema è che non credo che dovrei. Lo sai che c’è il mio ragazzo.”
“Lo so.” Le dico. Alzo una mano e le sfioro la guancia con un dito, lentamente, tenendolo di lato per toccarle più pelle che posso. Non è affatto sudata, propendo per l’agitazione. Agitazione nella quale in questo momento, del resto, sono completamente immerso anch’io. “Perciò…?”
“Andrea, non fare così.” Mi piace quando mi chiama per nome, perché – come dicevo – non lo fa mai nessuno. Il discorso sembra più intimo, più personale. Infatti mi chiama Andrea solo quando siamo soli, come se ci fosse differenza. Come spero che sia, forse?
Così come?” Tolgo la mano dal suo viso e la rimetto nell’altra, per riuscire a stare fermo. Mi basta questo per eccitarmi: credevo che di più non fosse possibile!
“Lo sai.” Solleva lo sguardo verso i nostri amici al di là del sentiero, poi si volta all’improvviso fissandomi negli occhi. Mi fa l’effetto di uno sparo. Continuo a essere stordito come un imbecille e non so cosa fare per riprendermi. Probabilmente perché non voglio. Probabilmente perché di fianco a lei mi sento in uno stato di beatitudine tale che se mi chiedesse di offrirle una mano lascerei che la divorasse. Come se fosse una tigre affamata. “Sai che mi piaci, che con te sto bene, riesco a parlare e so che mi capisci. Sei molto importante per me, in questo momento, e ti voglio bene. Non voglio ferirti e ho tanta paura di farlo. Credo di startene facendo proprio in questo momento. Non dovrei stare qui con te così, da soli, scusa.” Si alza all’improvviso e fa tre passi con quelle lunghe gambe velate di chiaro. La minigonna viola spalmata di paillettes luccica al debole bagliore dei lampioni. Mi alzo veloce e la inseguo stringendole una mano fra le mie. Lei la strattona appena per liberarsi, ma è più che altro una contromossa, non un vero tentativo. Non credo che in realtà desideri farlo, forse vuole solo spiegarmi che le piacerebbe lasciarmi in pace e che non ce la fa.
Nemmeno lei ce la fa. Questo mi tranquillizza. Per quanto possa essere il solito cliché, per quanto possa essere insensato, sbagliato, inutile, non riesco a fare a meno di lei. Se in questo momento un’astronave aliena la catturasse con il suo raggio di luce e la portasse via dal pianeta avrebbe su di me lo stesso effetto della mano divorata dalla tigre. L’effetto di uno strappo.
“Non fa niente Elisa, lo so. Siediti.” Le dico, tenendo il tono di voce basso e rilassato. E che fatica farlo! Se urlassi come vorrei credo scoppierebbero tutti i lampioni del parco e dintorni. “Siediti un momento, vieni, ti devo dire una cosa.” Lei mi guarda con un’espressione tra il sospettoso e l’addolorato. Come se volesse dirmi no, ti prego. Come se sapesse tutto; ma non credo che lo sappia già ed è proprio per questo che voglio chiarirmi con lei. “Non ti preoccupare, non è niente di grave. Voglio solo che tu ti sieda un momento ad ascoltarmi. Vieni qui e fai la brava bambina, non scappare: prometti?” Le sorrido e lei si rilassa.
Oddio, bambina non è il termine più adatto. A parte il fatto che ha due anni in più rispetto ai miei ventotto, sembra tutto tranne che una bambina. Sembra la creatura più eccitante, più interessante e più intrigante che abbia mai conosciuto.
Si avvicina e le lascio andare la mano perché quel contatto continuo non le crei troppo imbarazzo. Permetto a lei di scegliere cosa vuole fare e miracolosamente si siede. Tiro un sospiro di sollievo e torno a sedermi al suo fianco, tremando appena. Mi passo la mano fra i capelli cercando di schiarirmi la mente, senza riuscirci del tutto. Il mio autocontrollo è allo stremo, ma mi conviene farcela. Prendo fiato e inizio a parlare.
“Vedi, so che tu pensi… quel che pensi… in realtà non sono così emotivamente coinvolto da starci tanto male, per ora.” Grandissima bugia, cominciamo bene! E pensare che lei fa spesso leva sulla sincerità, ma se voglio tenermela stretta non la posso terrorizzare. “Vorrei solo passare più tempo possibile con te, se vuoi, perché mi fa piacere. Anch’io sto bene con te, sai che non c’è nessun’altra nella mia vita tranne te e…” all’improvviso Elisa fa una smorfia e cerco di rimediare, perché mi accorgo che così la spavento “… e non l'ho deciso razionalmente. Non posso mica impormi i sentimenti. Quello che sento per te è una cosa bella, mi fa stare bene e mi sembra che sia reciproco, quindi perché dovrei fare finta di niente? Perché dovrei negarlo o vergognarmene?” La sbircio senza che lei lo noti, mi sembra più tranquilla. “Perciò, se tu sei d’accordo, continuerei volentieri a starti appiccicato come la colla, finché non ti stancherai di me e mi manderai via con un calcio nel sedere!” Termino con una breve risata. Anche lei emette un leggero gorgoglio, poi estrae l’accendino dalla piccolissima borsa con l’intenzione di accendersi una sigaretta. O forse di darmi fuoco, ma non servirebbe: tanto sto già bruciando.
“Devi proprio? Non voglio fare il perbenista, ma ne hai appena spenta una.” La guardo con un sorriso supplichevole, sperando di esibire tutte le armi di seduzione di cui sono capace.
Non sono esattamente un bel ragazzo. Nemmeno un brutto ragazzo, per la verità; non c’è niente che non vada, in me, sennonché tutto quel che sono è assolutamente comune. Ragazzo medio, corporatura media, statura media, nessun segno particolare. Insignificante, insomma. Uno di quelli che fa sfondo, che non emerge mai. Ancora non mi spiego il motivo per cui lei, così bella e insolita, sia attratta da me. Evidentemente qualcosa di speciale dentro ce l’ho anch’io.
“Hai ragione, certo che hai ragione. Dovrei proprio smettere, lo so, ma in questo momento non ci posso proprio pensare.” Mi guarda con un sorriso di scusa e rimette via l’accendino, come se dicesse: “Vedi, lo sto facendo per te.” In realtà avevo pensato di baciarla e per farlo avrebbe dovuto avere nient’altro che la lingua in mezzo a quelle belle labbra. E poi il sapore fresco di nicotina avrebbe coperto troppo il suo ed è un piacere, quello della scoperta del suo sapore, di cui non mi voglio proprio privare.
A guastare i miei piani arriva Annamaria che ci chiede se vogliamo andare a ballare o se abbiamo cambiato programma. Avranno parlato solo di noi due, quel branco di simpaticoni, ma li adoro perché mi stanno dando una mano, sarei ingiusto se non lo ammettessi.
“Andiamo, come no. Vero Eli?” La guardo sperando che mi smentisca. Purtroppo annuisce e manda in frantumi la mia bolla di felicità. Pazienza, tanto ci riprovo. La sostengo quando incespica, finché non torniamo sull’asfalto e sotto la luce più forte dei lampioni della strada. Spero che sia distratta e non noti niente di strano in direzione dei miei pantaloni stretti, perché il mio corpo oggi proprio non mi dà retta. Il pensiero di lei con una scopa in testa non sarebbe sufficiente a far svanire la tensione – e chissà perché ho pensato alla scopa – ma tanto anche parlando bucolicamente di cespugli e di querce siamo lì.
È venuta con Annamaria, quindi in auto la accompagna lei. Io ho caricato due amici ed è meglio che non riferisca i suggerimenti forniti durante il tragitto. Sono parole che è meglio non ripetere.
Forse è questo che intendono le donne quando dicono che sono un signore: la discrezione è una gran bella cosa e ai giorni nostri è spesso sottovalutata, mentre credo che abbia la sua importanza. Certi commenti devono restare tali e basta, non essere esposti in piazza in bella mostra a beneficio – e a danno – di tutti. Almeno credo.
In discoteca Elisa è magica, balla come se fosse sotto l’influsso di un rito voodoo. Dai movimenti del corpo si avverte quanto sia rapita dalla musica. È sinuosa, vibrante, non è mai monotona o distaccata. Smette di ballare solo se un pezzo non la prende, ma quando accade mi resta vicina e, mentre si fuma una sigaretta, si esprime a gesti perché la voce non riesce a sovrastare il frastuono.
Lì dentro non possiamo fare a meno di toccarci, anche perché non c’è spazio. Il contatto è implicito nella situazione, quindi non ho nulla di cui scusarmi. Ne approfitto volentieri, ma cerco di evitare i fianchi se non di lato. La situazione non è cambiata e sto quasi per sentirmi male.
Di quando in quando mi sento il suo seno premuto sulla schiena o contro un braccio. Mi prudono le mani. Ho le mani grandi, con le dita lunghe, che adorerei poter riempire con le sue forme, ma non ho il coraggio di farlo con una scusa qualsiasi. Credo che mi leggerebbe negli occhi la verità. E poi non sono tanto audace.
Nel frattempo si è fatto tardi, Annamaria è stanca e vuole andare a casa. Sto seriamente pensando di uccidermi. Per come mi sento adesso, se lei se ne andasse all’improvviso credo che per la disperazione mi metterei a piangere come un bambino.
Qualcuno, però, da qualche parte nel mondo, nel cielo, nello spazio infinito o in qualche vita futura o precedente, mi ama. Elisa mi chiede a gesti se può tornare a casa con me perché ha ancora voglia di ballare. E io, poiché non sono completamente pazzo e non vedevo l’ora, le rispondo di sì.
Vado quindi in cerca dei miei amici minacciandoli di trovarsi un passaggio alternativo o non gli rivolgerò mai più la parola in tutta la mia vita. Per fortuna sono d’accordo con me e mi dicono di non preoccuparmi. In realtà quello che è uscito a volume stratosferico dalla bocca di Marcello è stato più un: “Godi anche per me, fratello!”, ma a causa del frastuono generale devo averlo captato solo io.
Così torno dalle mie amiche. Salutiamo Annamaria e resto finalmente solo con Elisa. Gli altri ragazzi della compagnia si sono già dileguati e mi sento veramente bene. Sono pieno di aspettative e forse sbaglio perché non succederà assolutamente nulla, perché sono e resto un completo imbranato e magari lei vorrà fiondarsi a letto come una scheggia e tornare a pensare al suo ragazzo, strofinandosi sul materasso.
Al pensiero della parola strofinare mi viene l’impulso di prenderla e stropicciarla tutta, ma ancora non l’ho baciata ed è una cosa che tengo molto a fare. Credo che se la baciassi capirei come muovermi. Perché ho veramente urgenza di muovermi, credo davvero che potrei esplodere…
Restiamo in pista un’altra mezz’ora. Io non reggo il suo ritmo, ormai sono stanco, quindi mi sposto ai margini bevendo qualcosa, limitandomi a osservarla mentre si muove. La folla si è diradata e non ho nulla che m’intralcia la visuale. Anche lei è stanca, però, si muove più lentamente e con meno trasporto. Le chiedo se vuole andare a casa e mi risponde di sì.
Fuori sta piovendo. È una pioggia leggera, ma costante. Ho l’auto parcheggiata poco lontano e le chiedo di aspettarmi davanti all’ingresso perché non si bagni troppo. Mi risponde che vuole venire con me.
La prendo sotto braccio e, nonostante la stanchezza e i suoi tacchi, raggiungiamo l’auto il più velocemente possibile. Appena ci chiudiamo dentro scoppiamo a ridere come due ragazzini, non so perché. O forse lo so. È una situazione molto tesa e non c’entra nulla con i miei pantaloni.
“Perché ridiamo?” Mi chiede. I suoi capelli, a causa della pioggia,  si sono attorcigliati formando delle eliche e io la vedo sempre bellissima. Probabilmente non è così; le è anche colato leggermente il mascara, ma è quasi più eccitante. Ha l’aspetto di una femmina che ha appena finito di fare sesso. D’altra parte vederla ballare è quasi la stessa cosa, l’unico problema è che immagini e basta e non senti niente.
“Tu perché stai ridendo?” Le chiedo, mentre sorrido. Sto sorridendo tanto che mi fa male la faccia, ho i muscoli del viso mezzo intorpiditi. Probabilmente se la baciassi adesso non riuscirei nemmeno ad aprir bocca. Lei fa qualcosa che non mi sarei mai aspettato: si gira verso di me e si appoggia sul mio petto, passandomi una mano sotto il braccio e stringendomi a sé.
“Rido perché mi sento bene, Andrea, mi sento così bene…” Sono davvero esterrefatto, su questo i miei amici non hanno elargito nessun consiglio. Protesterebbe se con la mano le appoggiassi due dita sotto al mento e le alzassi il viso, portando la mia bocca in linea con la sua?
Decido di non correre rischi; ha anche bevuto un po’ troppo e non voglio che pensi che mi approfitterei di lei. So che si fida di me e non ho intenzione di incrinare la sua fiducia. Credo che sia il motivo principale per cui me la trovo qui, appoggiata contro il petto, in una posizione tanto intima. Come se fossimo amanti da un’eternità.
“Dai, è tardi. Tirati su, coniglietto, che ti riporto a casa.” Le dico, mentre mi tolgo le sue mani di dosso e me la scollo dal corpo, cosa che mi costa tantissimo. I vestiti sono anche un po’ umidi, la situazione è veramente al di fuori della mia portata. Bisogna che mi concentri attentamente per guidare e per fortuna non ho bevuto niente di alcolico, già mi sento ubriaco solo così.
Protesta un po’, ma si sistema al suo posto allacciando la cintura. La ventola del riscaldamento inizia a pulire i vetri leggermente appannati e così posso partire.
Davanti casa sua spengo il motore e le luci, poi resto immobile senza dire una parola. Lei per un po’ fa altrettanto, infine mi guarda e mi chiede a cosa penso. Cosa penso? Me la stavo immaginando nuda e mi chiedevo se avesse altri tatuaggi oltre a quelli sulla caviglia e la spalla. Glielo dico. Non le dico proprio tutto.
“Stavo pensando che ti donerebbe proprio un tatuaggio sulla pancia. Uno scorpione, forse, di fianco all’ombelico.” Che accidenti mi è preso? Perché non riesco a tener chiusa la bocca? Lei però mi guarda tranquilla e i suoi occhi verdi sembrano neri per l’assenza di luce. Solleva leggermente il top sul davanti e indica con il dito un punto sulla pelle.
“Dove, circa qui?” Mi chiede e tiene lo sguardo basso. Forse si è accorta di avere esagerato. Le ho detto che voglio starle vicino a tutti i costi, quindi probabilmente anche lei dice e fa quel che le passa per la testa senza pensarci granché. E, in effetti, quel granché ora è diventato troppo. Mi abbasso su di lei, le sollevo il mento con la mano e la bacio.
Ma non riesco a staccarmi. Continuo a entrare e uscire dalla sua bocca come se fossi privo di una mia volontà. Elisa mi asseconda con una generosità che non mi aspettavo. Le prendo il viso fra le mani e comincio a baciarla dappertutto, poi torno alla sua bocca perché anche lei mi guida fin lì.
Le nostre bocche si ritrovano e le mani scendono altrove in esplorazione. Quando me ne appoggia una fra le gambe lancio un gemito e lei si scosta appena.
“Non fa niente, scusa.” Sussurro ansimando. “È tutta la sera che sono in queste condizioni.” Mi guarda e sorride, baciandomi ancora.
“Lo so.” Dice, quando smette di baciarmi. “Perché non mi tocchi?” Le mie mani avevano poco audacemente esplorato braccia e spalle, finora. Lo so, sono un cretino, ma avevo paura. Se me lo chiede non avrà poi il coraggio di mandarmi via, giusto? Sembra eccitata, il respiro è accelerato, ma non so se ho capito bene quello che vuole. Accidenti, Andrea! E se la smettessi di pensare? Se le chiedo il permesso sembro uno stupido, sarà meglio che lo faccia e basta.
Mi aspettavo che fosse più morbida, il seno invece è sodo e intrigante. La stuzzico un pochino e risponde immediatamente. Ha chiuso gli occhi, come di tanto in tanto fa mentre balla. Le punte dei seni sono talmente rigide che potrebbero perforare i vestiti. La bacio io, questa volta, e lei torna ad accarezzarmi sconvolgendomi. Prima di avere un attacco di cuore sarà meglio che le chieda se posso salire da lei. Che mi dice di sì.
Saliamo in ascensore fino al quinto piano e io mi sento in trance. Non sono nemmeno certo di aver bloccato le portiere dell’auto, però sono sicuro che senta quel che le si appoggia contro all’altezza dei fianchi, mentre la schiaccio tra me e la parete dell’ascensore, baciandola.
Sono tentato di bloccare le porte e prenderla lì, in piedi nell’ascensore. Questo non sarebbe tanto galante da parte mia, suppongo, per cui lascio che mi guidi fin dentro l’appartamento.
Chiude la porta e mi chiede se ho sete. Le rispondo di no. È di lei che ho sete, di null’altro, ma questo non glielo dico.
Si defila in bagno e torna da me togliendosi le scarpe. Si affloscia sul divano con grazia, mettendo un piede sotto la coscia, e si appoggia allo schienale con gli occhi chiusi.
Devo fare qualcosa io, quindi. Mi avvicino e le accarezzo il viso con un dito, come al parco. Apre gli occhi e sussurra: “Mi piaci, Andrea.”
“Lo so.” Le rispondo e faccio scendere il dito sulle sue labbra, strofinandolo da un lato all’altro. Poi mi avvicino e la bacio piano. “Non avere paura di farmi del male, non ti preoccupare. Fai quel che senti e io ti vengo dietro. Guida tu.” Le dico. Lei sorride, le è piaciuta l’espressione. Del resto a parole abbiamo già fatto sesso in mille modi. Il nostro trovarsi nella conversazione, il rispetto delle idee, la condivisione dei pensieri e dei segreti. È già stato tutto detto e fatto. Manca solo l’atto pratico. Mi sento davvero come se sapessi già cosa dovrei provare. È solo il mio corpo che ancora non lo sa.
Si avvicina e si appoggia su di me allungandosi sul divano. Mi distendo lasciandomi sovrastare, mi sento carico d’elettricità. Il contatto è sorprendentemente violento, nonostante si sia mossa adagio, molto più intenso che in ascensore. Sarà a causa della gravità che gioca a favore.
Mi bacia mentre cerca di slacciarmi i pantaloni, senza un gran risultato, così l’aiuto. Lei infila una mano nei jeans emettendo un suono che sembra quello di un gatto soddisfatto. Il contatto della nostra pelle mi manda in estasi, mi sembra di non avere più un corpo. La bacio con violenza, credo di non aver mai baciato così. Spero di non farle male.
Sembra di no. Elisa continua a toccarmi a occhi chiusi, lamentandosi e sospirando. Non voglio indagare, ma qualunque cosa stia succedendo nel suo corpo spero che continui ancora perché mi sta facendo impazzire.
All’improvviso smette di baciarmi e spalanca gli occhi, ansimando. Con un sussurro mormora: “Sarebbe troppo facile se adesso facessimo l’amore, non credi?” Maledizione. Lo sapevo che non avrei dovuto. Lo sapevo e ci ho provato lo stesso.
Mi fa l’effetto di una doccia gelata sulle parti roventi del mio corpo, che in questo momento sono sin troppe.
“Stai scherzando?” Le dico, prima di baciarla di nuovo. “Prova ad andartene e uso la frusta.” Caspita, una battuta così deve sbocciare proprio dal profondo di me, da quel posto in cui la rabbia e il desiderio si sono condensati a tal punto da spazzare via ogni forma di scrupolo e di delicatezza. Lei ride. Fra i baci, sussurra sulla mia bocca non mi dire, la mano ancora nei miei pantaloni.
Ecco, in questi casi che consiglio potrei mai darmi? Che cosa dovrei fare? Nell’indecisione, mi viene l’assurda idea di fare tutto quello che non avrei voluto. Prendo la sua mano, la tolgo da dove si trova e sollevandomi assieme a quella piccola strega, mi raddrizzo sul divano.
“Ti sei offeso?” Sussurra accarezzandomi i capelli. Le scosto la mano lentamente, ma è come se mi stesse bruciando.
“Che cosa vuoi che ti dica, Elisa, mi sono imposto che decidi tu e decidi tu. Se vuoi smetterla, smettiamo, però non giocare a voler fare tutte e due le cose assieme perché non so se ce la faccio.”
Mi guarda un po’ triste, riaggiustandosi le spalline e togliendo dai capelli il fiore che era scivolato in basso, ormai perso in quella massa umida e attorcigliata. Si avvicina di nuovo e appoggia il suo viso al mio, annusandomi e sussurrando.
“Mi dispiace. Scusa, ma vorrei fare l’amore con te perché ne ho voglia davvero, non solo per fare arrabbiare lui, mi capisci?” Furba, Elisa. Sei davvero tanto furba. E ora quale risposta sagace dovrei darti? Qualsiasi cosa dicessi sarebbe senz’altro ininfluente. Né il mio stato fisico né quello mentale combaciano con la decisione che sto prendendo, ma lo faccio lo stesso. Perché non è vero che non sono emotivamente coinvolto, lo sono eccome, ma ti ho mentito e quasi mi merito che tu ti comporti così.
Non è mai più successo niente del genere, dopo quella sera, nemmeno un bacio. Non l’ho mai più rivista se non brevemente. Paura di restare di nuovo sola assieme a me, vero Elisa? Paura di non resistere a fare quello che avresti desiderato, quello che non abbiamo fatto perché, purtroppo, eri innamorata di lui. Amavi un po’ anche me, però.
Passa il tempo, ma ogni tanto la penso. So che è tornata con lui e che è felice. Anch’io sono felice, ma il pensiero di quella sera mi rende felice in un modo che non credo proverò mai più.
Eravamo perfetti, insieme, la sintesi dell’intimità e della condivisione. Eravamo al centro della comprensione e dell’affini-tà. Pur non avendo concluso niente, quello che abbiamo iniziato lo conservo dentro di me come un tesoro, il più dolce dei momenti che abbia mai vissuto in tutta la mia vita.

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